Dick Butkus: il Mostro del Midway, nella sua rabbia controllata l’obiettivo era causare un fumble a ogni tackle
- Luca Salera

- 11 ott
- Tempo di lettura: 3 min
In NFL all’epoca c’è chi avrebbe preferito affrontare un orso, piuttosto che questo linebacker granitico. La sua forza: velocità e istinto. Uniti a una cura maniacale dell’aggressività in campo.
Nello sport ci sono giocatori forti, ci sono campioni e poi c’è Dick Butkus. Non è solo un nome, è un aggettivo. È l’epitome della ferocia, il metro di paragone con cui ogni Middle Linebacker (MLB) della NFL viene misurato. Butkus non giocava a football, ma lo dominava, con un’intensità talmente brutale e pura da spaventare persino i compagni di squadra. Per i Chicago Bears, non era solo un atleta, era l’anima, l’originale “Monster of the Midway”.
Nato per il caos (e Chicago)

La storia di Butkus è indissolubilmente legata a Chicago. Nato e cresciuto nel South Side della città, portò la grinta e la durezza della sua origine direttamente sul campo. Dopo una carriera universitaria stellare con gli Illinois Fighting Illini, Butkus fu selezionato dai Chicago Bears come terza scelta assoluta nel Draft NFL del 1965. Un destino perfetto: la squadra con la storia difensiva più ricca si assicurava il difensore più temuto.
Butkus fu selezionato anche dai Denver Broncos nel Draft AFL, ma scelse di restare nella sua Chicago e di giocare per i leggendari Bears. Iniziò così una carriera che lo avrebbe visto indossare la maglia numero 51, per tutti i suoi nove anni da professionista (1965-1973).
La definizione della ferocia

L’impatto di Butkus sulla lega fu immediato e devastante. Non era solo un placcatore, era un distruttore di gioco che giocava con una rabbia controllata, cercando di causare un fumble ad ogni hit.
L’ex running back dei Packers, MacArthur Lane, riassumeva il terrore generale: “Se dovessi scegliere, preferirei affrontare un orso grizzly che andare, uno contro uno, con Butkus”.
Ammetteva di inventare cose che lo facessero arrabbiare, prima di scendere in campo per il riscaldamento, solo per alimentare la sua inesauribile aggressività.
I suoi numeri, nonostante una carriera accorciata dagli infortuni al ginocchio, sono impressionanti: otto Pro Bowl in nove stagioni. Cinque volte First Team All-Pro. Due volte NFL Defensive player of the year (1969, 1970). Ventisette fumbles recuperati (un record, per un giocatore difensivo, al momento del suo ritiro). Ventidue intercetti (un’abilità insolita per un MLB dell’epoca).
L’eredità immortale

Butkus è l’uomo che ha definito la posizione di Middle linebacker. Prima di lui, il ruolo era cruciale, ma Butkus lo rese una posizione di glamour e terrore. Aveva la velocità per placcare, da sideline a sideline, l’istinto per anticipare le giocate e la forza per fermare qualsiasi portatore di palla.
Nonostante giocasse per una squadra che non vinse il Super Bowl (i Bears di quel periodo non erano i vincenti che conosciamo oggi), la sua grandezza individuale è indiscutibile. Il suo nome è stato inserito nella Pro Football Hall of Fame nel 1979, al primo anno di eleggibilità.
Oggi il Butkus Award viene assegnato ogni anno al miglior linebacker del college football, onorando un’eredità che non è fatta solo di statistiche, ma di un’intensità che ha lasciato un segno indelebile.
Dopo il ritiro Butkus ha avuto una discreta carriera di attore, partecipando a film e serie Tv come Tuono blu e La signora in giallo, dimostrando di essere un gigante gentile fuori dal campo, in netto contrasto con il Maniaco sportivo che era il giorno della partita.
Dick Butkus è più di un Hall of Famer: è il simbolo di ciò che significa dare il 100% in ogni singola giocata. La sua furia è il gold standard della difesa NFL.
Luca Salera



Commenti