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La meteora del football: Brian Bosworth, quando l’ego e un brutto infortunio misero fine a “The Boz”

Bosworth fu un giocatore anti sistema, protagonista anche di qualche schermaglia coi rivali. Chiuse prematuramente la sua carriera in NFL, anche a causa di farmaci che gli rovinarono le spalle, ma si rifece con una carriera da attore a Hollywood.



Bosworth agli esordi a Oklahoma.
Bosworth agli esordi a Oklahoma.

Pochi giocatori nella storia del football hanno diviso l’opinione pubblica, alimentato così tanto clamore e avuto una carriera così breve quanto, Brian Bosworth. Conosciuto semplicemente come “The Boz”, questo linebacker non era solo un atleta eccezionale, ma un fenomeno culturale, un anti-eroe moderno, che giocava con un’aggressività e un’arroganza senza pari. La sua storia non è solo sportiva, ma un monito sulla fugacità della gloria.

Il suo mito nacque al college, all’Università dell’Oklahoma. Qui, Bosworth non era solo il miglior linebacker della nazione, che vinse il Butkus Award per due anni consecutivi (1985 e 1986), ma una rockstar. Capelli bizzarri, divise strappate, commenti al vetriolo contro la NCAA e un’autobiografia intitolata The Boz prima ancora di giocare un down da professionista. Il suo ego era grande quanto il suo talento.

 

Il contratto record e la sfida

 


The Boz, che per le regole non poteva giocare col suo numero 44, se lo scrisse a mano su una fascia.
The Boz, che per le regole non poteva giocare col suo numero 44, se lo scrisse a mano su una fascia.

Quando arrivò nella NFL, fu l’inizio di una battaglia tra il sistema e la superstar. Bosworth si rifiutò inizialmente di giocare per i Seattle Seahawks, che lo avevano selezionato nel Draft supplementare del 1987. Tuttavia, dopo la minaccia di un’azione legale dalla lega, firmò il contratto, negoziando un accordo record per un rookie all’epoca: 11 milioni di dollari per dieci anni.

The Boz arrivò a Seattle con il suo marchio di fabbrica: la maglia numero 44, che la lega gli proibì di indossare (i linebacker potevano portare solo numeri dal 50 al 59 o dal 90 al 99). Bosworth si presentò comunque in campo con il numero 55, ma con la sua “44” scritta a mano su una fascia. L’arroganza era il suo motore.

 

L’epitaffio di Bo Jackson

 

La sua carriera NFL è riassunta in un’unica, iconica azione. Nel 1987, prima di una partita del Monday Night Football contro i Raiders, Bosworth aveva schernito il running back avversario Bo Jackson, un altro fenomeno atletico. Durante la partita, Jackson ricevette la palla sulla linea delle tre yard, travolse letteralmente The Boz piantandolo a terra e corse indisturbato in end zone. L’immagine di Jackson che corre su Bosworth, con il pugno alzato in segno di vittoria, è considerata l’epitaffio della breve carriera di Bosworth.

 

La tragica fine: “Le spalle di un sessantenne”

 


Finì la sua carriera dopo sole ventiquattro partite, per un grave infortunio alla spalla.
Finì la sua carriera dopo sole ventiquattro partite, per un grave infortunio alla spalla.

Dopo sole ventiquattro partite in NFL la sua carriera giunse a una fine prematura e drammatica. Un grave infortunio alla spalla, esacerbato dal suo stile di gioco estremamente fisico e, secondo alcuni, dall’uso di steroidi, ammesso dallo stesso Bosworth, lo costrinse al ritiro nel 1989.

Il verdetto del medico della squadra fu brutale: “Brian ha 25 anni, ma ha le spalle di un sessantenne”.

 

La carriera da attore

 

Dopo il football Bosworth sfruttò la sua notorietà, per una carriera a Hollywood. Il suo debutto fu nel film d’azione del 1991, Forza d’urto (Stone Cold).

 

L’autoironia 

 

Decenni dopo il famoso scontro, Bosworth dimostrò grande autoironia, apparendo in spot pubblicitari con Bo Jackson che parodiavano proprio quell’episodio.

La storia di Brian Bosworth è quella di un talento indiscusso e un’icona di marketing che ha bruciato troppo velocemente. È la dimostrazione che l’ego e l’hype possono creare una leggenda, ma solo la longevità e la salute definiscono la grandezza in NFL.

 

Luca Salera

 
 
 

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